MI CHIAMO LUISA E SONO SALVA!
Mi chiamo Luisa, ho 4 anni, tre sorelle e tre fratelli.
Vivo in una capanna con il pavimento di terra nel villaggio de La Granadilla, in un paese che si chiama Guatemala. La mia famiglia, come tutte le famiglie del villaggio, lavora nella costruzione dei fuochi d’artificio. Papà sta insegnando il lavoro anche a me, dice che le mie manine piccole vanno molto bene per costruire i petardi e che devo imparare a lavorare in fretta. A me non piace tanto: la polvere da sparo mi copre dalla testa ai piedi e non se ne va mai da dentro il naso, che mi prude sempre! E poi preferirei giocare con il mio fratellino più piccolo, visto che già mi devo prendere cura di lui: almeno mi divertirei di più.
Comunque noi siamo molto fortunati perché papà ha anche un altro lavoro: è il guardiano di un cancello! Non ho mai capito esattamente che cosa chiuda o apra quel cancello, ma è sulla strada che porta al villaggio. Siamo un po’ i guardiani del villaggio, ecco.
Qualche giorno fa ho visto una cosa nuova: mio padre è uscito di casa perché c’era una macchina che voleva passare per il cancello. Naturalmente io e mio fratello Juanito lo abbiamo seguito. Nella macchina c’erano delle persone che non riconoscevo. Avevano qualcosa di strano: uno di loro aveva gli occhi colore del cielo – che impressione! – e gli altri neanche sapevano parlare bene lo spagnolo! “Ma chi sono questi?” Chiedo io. “Stranieri”, dice papà con sospetto, “gringos“.
A me però stanno simpatici, io non ho paura, quindi faccio un sacco di domande al signore con gli occhi chiari che è gentile e simpatico. Soprattutto, lui mi risponde e mi chiede di raccontargli di me. È strano, nessun adulto mi aveva fatto domande su di me prima d’ora.

È passato un anno…

…e queste persone sono rimaste un bel po’ di tempo, hanno conosciuto tutta la comunità e alla fine hanno costruito una scuola. Juanito già ci va, adesso ho 5 anni e voglio andarci anche io ma papà non vuole. Dice che le femmine devono rimanere a casa ad aiutare la mamma e prendersi cura dei fratellini, così diventeranno delle brave madri. In più, sono la più veloce della famiglia a costruire le mitragliatrici quindi se non lavoro non avremo abbastanza da mangiare. Quando torna a casa, chiedo a Juanito di raccontarmi tutto quello che succede dentro una scuola e mi ha già insegnato tutte le canzoni che cantano all’inizio delle lezioni o durante l’intervallo. Ogni volta che incontro i gringos, che in realtà sono los italianos, mi fermo sempre a parlare con loro e canto tutte le canzoni così che sappiano che, anche se non vado a scuola, anche io posso imparare qualcosa.
Oggi l’uomo dagli occhi chiari chiari è venuto a casa nostra e ha parlato con mio papà. Non capivo cosa dicevano ma hanno discusso tanto e io mi sono un po’ spaventata. Quando hanno finito di parlare papà mi ha chiamato. Avevo davvero paura: avevo forse fatto arrabbiare lo straniero? E invece no, tutto il contrario: l’uomo simpatico era riuscito a convincere papà a mandare a scuola anche me!
Non so proprio come abbia fatto ma… non sono mai stata così felice! Ho saltato, cantato, baciato tutti i miei fratellini e la mia mamma, ho abbracciato mio papà e ringraziato l’uomo dagli occhi chiari, Carlo.
Lui mi ha detto che era un’altra la persona da ringraziare, una donna italiana che ha voluto “adottarmi” e pagare tutte le spese necessarie per mandarmi a scuola. Potete immaginare la mia sorpresa quando ho sentito queste parole, ancora non so se ho capito bene.
A scuola sono la prima della classe…
… la maestra me lo dice sempre ma mi dice anche di non fare la smorfiosa che altrimenti i miei compagni si stufano di me.
Sono cresciuta anche di statura: da quando mangio alla mensa della scuola non ho più quei dolori forti alla pancia che avevo prima, sono già diventata più alta e mi sembra di capire le cose più velocemente. E poi ho tanti amici, prima non ne avevo neanche uno!
Adesso ho capito questa cosa del Sostegno a Distanza e ringrazio la mia famiglia italiana ogni volta che posso, facendo disegni e scritte che poi i maestri in qualche modo fanno arrivare dall’altra parte del mondo.
Oggi i maestri ci hanno chiesto cosa vogliamo fare da grandi. L’ho trovata una domanda un po’ strana: cosa mai potevo fare io? Sposarmi, fare tanti figli, lavorare sui fuochi d’artificio. Ah, vorrei tanto avere delle galline così i miei figli potranno avere le uova fresche per crescere forti – così ho imparato a scuola. I maestri ci hanno detto che sposarsi e avere tanti figli è bellissimo, che avere le galline o altri animali è una grande fortuna, ma i fuochi d’artificio no. Sono pericolosi e ci fanno lavorare in un modo brutto, “da schiavi”. Ci ho pensato tanto e in effetti succede spesso di sentire dei botti improvvisi, vedere case che saltano per aria e ho visto morire tante persone in questo modo. Ma non lo sapevo mica che era per colpa dei fuochi d’artificio!
Adesso ho 10 anni…
… frequento la sesta, sono una signorina istruita e me ne vanto. Io e le mie amiche passiamo un sacco di tempo insieme: parliamo dei nostri problemi, a volte di ragazzi, ma anche dei nostri sogni. L’altro giorno il maestro ci ha chiesto cosa pensiamo di fare ora che finiamo la scuola primaria e cosa vogliamo fare da grandi. Ci ho pensato un po’ e poi ho risposto con una sicurezza che non so neanche da dove sia venuta: io voglio fare l’infermiera! Sì, è davvero così. Ora lo so con certezza. Ma come posso fare?
Gli italiani continuano a venire e so che i maestri si sentono spesso con loro. So che tutto quello che abbiamo a scuola, l’ambulatorio dove siamo periodicamente controllati e l’ospedale dove anche io una volta sono andata a farmi operare di appendicite funzionano grazie a loro. Voglio raccontare loro il mio sogno di diventare infermiera, chissà che non possano aiutarmi.
Ne parlo con Lorella ed è subito entusiasta. È entusiasta anche perché ha appena ricevuto dei soldi da Irene e Simone, una giovane coppia che, adesso che si è sposata, ha donato all’associazione Sulla Strada tutti i soldi dei regali. Insomma, non ci ho capito molto però Lorella mi ha detto che l’associazione ha un fondo che vuole usare per sostenere la formazione professionale degli ex studenti della loro scuola, come me. Ancora una volta, mi prende una felicità incontenibile e salto e canto e bacio tutti!
Mio padre non è felice quanto me, ancora si chiede perché stiamo sprecando tanto tempo e soldi nell’istruzione di una femmina, ma con l’intercessione di Carlo alla fine si convince: andrò a Città del Guatemala e diventerò infermiera!
Mi chiamo Luisa, ho 18 anni e sono infermiera.
Sono tornata al mio villaggio, dove c’è la mia famiglia, e ho iniziato il tirocinio nel poliambulatorio Yatintò, costruito dall’Associazione Sulla Strada. Qui ho incontrato anche tanti infermieri e medici italiani con cui ho fatto tirocinio durante le missioni mediche. Claudia, una dottoressa italiana, mi ha chiesto se volevo aiutarla: certo! ho risposto subito io.
Ed è così che mi sono ritrovata parte di un progetto di tesi in diabetologia di una dottoressa di un’Università italiana!
Adesso mi sento una donna forte e libera, so quanto valgo ma rimango fedele alla mia famiglia e alle mie origini. Non ho voluto studiare per andarmene lontano: voglio dare il mio contributo qui, nel mio villaggio, dove credevo non ci fosse alcuna speranza di cambiamento. Adesso lo vedo il cambiamento, riesco a intuirne la portata ma so anche che tutti noi, insieme ai nostri amici italiani, dobbiamo impegnarci seriamente in questo senso.
Ho deciso di fare la mia parte perché voglio onorare l’aiuto che ho ricevuto, io come tanti miei amici, grazie alla generosità di molte famiglie italiane che hanno voluto credere in un mondo migliore: ed è per questo che hanno attivato un Sostegno a Distanza per bambine e bambini come me.

GRAZIE DA PARTE DI TUTTI NOI!
Mi chiamo Luisa e sono salva dalla vita da schiava che mi aspettava, china tutto il giorno tra petardi e polvere da sparo. Soprattutto, sono felice e padrona della mia vita.
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