Il mio Servizio Civile Universale

La testimonianza di Gemma 

Buongiorno a tutti, sono Gemma e, quasi un anno fa, ho deciso di intraprendere l’esperienza del Servizio Civile Universale. Ad oggi posso dire, senza dubbio, che questo sia stato l’anno più snervante e appagante cha abbia mai vissuto, un’avventura che ha marcato la mia vita in modo indelebile, facendomi crescere e maturare. Mi ha dato l’occasione di incontrare e scoprire una cultura completamente diversa da quella italiana, mi ha fatto scontrare con una realtà difficile da accettare.

Insieme ai miei colleghi di SCU, ho vissuto quest’anno al Cerro la Granadilla. Qui la maggior parte delle famiglie si dedica alla produzione di fuochi d’artificio, chiamati “cohetes”. Non lavorano “per arrivare alla fine del mese” ma per avere qualcosa da mangiare una volta al giorno. E a lavorare sono anche i bambini.

In questo villaggio si entra in contatto con una povertà estrema, unita ad un tasso altissimo di analfabetismo, diffuso soprattutto tra i genitori. Questi sono stati, per me, i due temi più discussi quest’anno.

La povertà porta le persone ad uno stato di apatia verso la realtà che le circonda, sono rassegnate agli eventi, credono sia inutile coltivare altri aspetti della vita quali la bellezza, l’amicizia, la cura di sé perché senza la pancia piena questi paiono insensati.

Ho visto come le persone tendono ad adagiarsi quando ricevono aiuti materiali e, senza altri insegnamenti, non sono in grado di dare valore alle cose. Questo adagiarsi però non è dettato dalla pigrizia quanto, piuttosto, dal senso di impotenza che li pervade. La convinzione di non farcela porta le persone a non tentare neppure di attuare un cambiamento nelle loro vite. Ma le difficoltà nascono ancora prima: nella maggior parte dei casi, ciò che manca è la consapevolezza dell’esistenza di un’alternativa. Nessuno sceglie se non ha opzioni.

Ogni aspetto della vita qui, infatti, è “venduto” con il monopolio di un’unica verità: religione, politica, lavoro, relazioni, condizione sociale. Molti bambini iniziano a lavorare fin da piccoli nella produzione di cohetes con un lavoro macchinoso, ripetitivo e forzato. Dopo un anno, vivendo a stretto contatto con questa realtà,mi rendo conto di aver perso quella sensibilità che avevo al principio iniziando, invece, a concepire questa realtà come fosse quasi normale.

Il lavoro minorile va eliminato: questo resta comunque e ovviamente un caposaldo. Vivendo qui, però, ho sviluppato questo concetto arrivando a capire che il problema più grande di questa condizione non stia tanto nel lavoro in sé quanto nell’influenza che questo ha sui bambini portandoli a pensare che non esista alternativa e che svolgeranno questa attività per tutta la vita.

Testimonianza Gemma
testimonianza Gemma

È una realtà infame: viene spento loro ogni sogno e ogni capacità di immaginazione. Ricordo ancora una volta, in una classe, quando ho chiesto ai bambini di fare un disegno alcuni hanno risposto: “No puedo!”, “non posso”. Questo ovviamente succede non per mancanza di voglia o capacità ma per mancanza di immaginazione e totale sfiducia nelle proprie capacità. La rassegnazione diviene insita nella mentalità delle persone, si riflette in una incapacità di reagire in modo attivo alle situazioni. Questa rassegnazione l’ho vista trasformarsi prima in afflizione poi in rabbia, una rabbia passiva che esplode in una violenza che avvolge ogni aspetto della vita delle persone, soprattutto dei bambini: giocano a picchiarsi, picchiano gli animali o vengono picchiati se non lavorano.

Qui entra in gioco la scuola Abuelita Amelia Pavoni: una scuola particolare e unica che, oltre a fornire la giusta istruzione, accompagna ogni singolo bambino lungo il suo percorso, secondo le sue esigenze. È un salvagente che ha la funzione di strappare i bambini dal lavoro sui fuochi d’artificio per offrire loro una possibilità d’infanzia, attraverso la quale possano riscoprire il mondo con i veri occhi di bambino.

Vivere qui è senza dubbio molto stancante, ma permette di accedere a un mondo meraviglioso.

Abbiamo abbandonato il frenetico ritmo della società italiana, sempre di fretta, sempre di corsa.

Abbiamo imparato a prenderci il nostro tempo, a dargli un peso diverso, avvalorandolo. Abbiamo imparato a fermarci per riflettere e analizzare i punti di forza e le criticità di questa nuova vita, instaurato un nuovo legame con la natura, iniziando a vivere al suo ritmo: ci svegliamo con il sole e i versi di galli e mucche e nel fine settimana, quando vogliamo dormire un po’ di più, a svegliarci sono le voci dei bambini.

testimonianza Gemma

Qui non esistono distrazioni tecnologiche, non c’è televisione e internet funziona solo ogni tanto: questa condizione ti obbliga a pensare a come reinventare al meglio le tue capacità e il tuo tempo. Inizi a metterti in gioco, intraprendendo esperienze che mai avresti potuto immaginare di fare nella vita. E così la stessa vita quotidiana diventa un’avventura: dal viaggiare in microbus, aggrappati alle scalette posteriori, allo sgranare il mais con raschiatori artigianali per preparare le tortillas o ancora cucinare tamales e pache, avvolti in foglie di banano.

E in questo nuovo mondo, il tempo che sembrava non passare mai, è invece passato troppo velocemente, speso tra il lavoro per l’Associazione Sulla Strada la mattina e il gioco con i bimbi al pomeriggio. In questi ultimi mesi, uno dei compiti che abbiamo svolto per Sulla Strada è stato il censimento della popolazione del villaggio e di quelli circostanti. Siamo entrati in case formate, per la maggior parte, da una sola stanza con un materasso adagiato a terra e un piccolo spazio, delimitato da qualche mattone, dove accendere il fuoco per cucinare. Abbiamo visto giocare i bambini con pneumatici di biciclette, arrampicarsi e dondolare sugli alberi, cacciare gli uccelli con le fionde.

Ogni persona pian piano ci ha introdotti nel suo mondo, insegnandoci il suo stile di vita: mi sono resa conto che, alla fine, anche quando si sta male si può essere felici.

Quest’esperienza, più di ogni cosa, mi ha insegnato a ridimensionare gli eventi negativi che succedono e ad affrontare le difficoltà con un’altra attitudine. È capitato più volte, per esempio, che mancasse l’acqua corrente o l’elettricità, anche per più giorni. In un attimo ti si palesano tutte le difficoltà che comporta la vita in questo luogo e tutto quello che qui non funziona. Sul momento, ovviamente, sale la rabbia e ci si lamenta ma poi, parlando con le famiglie, ti viene detto di non preoccuparti, che tanto prima o poi tutto si aggiusterà. Con questa semplicità disarmante, abbiamo imparato quanto sia importante non dare per scontate molte cose delle quali in Italia nemmeno consideriamo l’essenzialità, abbiamo capito che la metà delle cose che possediamo non sono necessarie, se non addirittura completamente inutili.

Credo quindi che l’insegnamento più importante che mi ha lasciato l’esperienza di Servizio Civile sia la consapevolezza dell’essenza della vita, dell’importanza di vivere.

Hai tra i 18 e i 28 anni? Vuoi fare anche tu un’esperienza come Gemma? SOno aperte le candidature per i Corpi Civili di Pace – CCP.

Cambia la tua vita e quella degli altri, diventa volontario!

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