Noi ci siamo se ci siete anche voi
Lorella ci racconta la storia di Doña SalomèSiamo arrivati in Guatemala da pochi giorni e ieri siamo andati a trovare doña Salomè. È una nostra vicina di casa, abita accanto al poliambulatorio Yatintò, che Sulla Strada ha costruito undici anni fa.
Doña Salomè è la prima donna che ha partorito a Yatintò.
La sua è una di quelle storie che raccontiamo sempre perché ci ha insegnato molto.
Doña Salomè era alla sua ottava gravidanza. Era già in travaglio ed è venuta nel poliambulatorio Yatintò perché c’erano gli italiani che l’avrebbero aiutata in questo parto.
Nell’ambulatorio ginecologico eravamo in tre (io, la ginecologa e l’ostetrica) mentre fuori aspettavano tutti i volontari medici e infermieri della missione, emozionati per questa prima nascita nel poliambulatorio.
Salomè è entrata fiera e dolorante. Le abbiamo detto di sdraiarsi sul lettino ginecologico ed è stata visitata. Non si lamentava ma si vedeva che soffriva molto. L’ostetrica e la dottoressa si affaccendavano per tranquillizzarla e le hanno messo una flebo.
Noi tutte eravamo molto emozionate e continuavamo a dirle di fare questo e quello, di respirare così, di muoversi colà…
Ad un certo punto doña Salomè si è preoccupata di sorriderci e con un gesto calmo si è tolta la flebo, si è alzata sicura e serena, si è accovacciata a terra e di lì a pochi minuti ha partorito, contenta.
Da questa donna abbiamo imparato l’umiltà, abbiamo imparato che il travaglio non è una malattia, abbiamo imparato che ciò di cui c’è bisogno è l’ascolto e l’empatia.
Purtroppo, il Covid-19 ha potato via a doña Salomè il marito, il padre dei suoi tanti figli.
Ieri, dunque, siamo andati a farle visita e abbiamo trovato i 6 figli che sono ancora a casa con lei (gli altri 5, ormai, hanno una famiglia per conto loro) che lavoravano sotto un tendone di plastica. Dai loro volti color argento, ricoperti di polvere da sparo ed emaciati per il poco cibo che ormai hanno a disposizione, era sparito il sorriso: spuntavano solo, prepotenti, gli occhi bianchi e disperati.
Abbiamo trovato una famiglia ridotta sul lastrico a causa dei debiti maturati per curare il papà, e poi per seppellirlo. Ora non riescono neanche a pagare gli interessi agli strozzini.

I poveri non hanno accesso al credito bancario perché non hanno niente da dare a garanzia se non la loro parola che, si sa, quando non si ha niente, non vale niente.
Allora, pur di tentare di salvare una persona cara, sono costretti ad affidarsi agli usurai e, in questo modo, si imprigionano per sempre. Mi sono quasi messa a piangere nel vedere i bambini che lavoravano velocissimi, chissà da quanto tempo erano tornati a quella vita! Abbiamo parlato loro della scuola e del fatto che dopo pochi giorni avrebbe riaperto. I loro occhi si sono spalancati ancora di più e tutti guardavano la mamma come per dire: ci potremo andare? Potremo lasciare il lavoro?
Juan, il bambino che è nato a Yatintò e oggi ha 10 anni, si rivolge a noi e ci dice che a lui manca solo di fare la sesta per finire le elementari. Lo dice come a intendere che sarebbe proprio un peccato se fosse obbligato a lasciare la scuola proprio ora.
I due fratelli più grandi avevano appena iniziato a frequentare le medie, in una scuola che teneva le lezioni durante il fine settimana. Anche a loro piacerebbe continuare a studiare ma, ora che il papà non c’è più, sono costretti a lavorare anche il sabato e la domenica per poter pagare il maledetto debito.
Sulla Strada ha saldato il debito.
Sulla Strada ha pagato la retta scolastica, l’uniforme e i libri di testo dei due figli adolescenti di Salomè.
Sulla Strada, c’è e ci sarà, con il vostro indispensabile aiuto.
Grazie per esserci sempre e aiutarci a cambiare il mondo, un bambino alla volta!