Natale, festa della famiglia umana

Riflessioni sociologiche e politiche

È vero, il Natale è la festa per eccellenza della famiglia, ma è ancora più vero che lo è dell’intera famiglia umana. Poi, come conseguenza di questa apoteosi, sarà anche festa – minore e meno integrale – della mia famiglia, della famiglia di ciascuno di voi. Ma solo nella misura in cui partecipiamo alla più grande e integrale festa.

Parlo da credente, ma non solo per i credenti.

Il Natale di Gesù – anche solo simbolicamente – diventa l’annuncio che finalmente rinasce la vera famiglia, quella umana.

La vita di ciascuno di noi trova senso solo in una comunità, e trova la sua pienezza solo nello sforzo di unire l’intera comunità umana. Mai, mai, mai nel dividere! La divisione è la base di ogni logica imperialista, fin dai romani: DÌVIDE ET ÌMPERA. Il meglio di qualsiasi religione, invece, ha sempre affermato che il tutto va unito, mai scomposto. La Natura stessa unisce tutto, anche gli opposti (il cielo e la terra, la notte e il giorno, il freddo e il caldo, le profondi valli e le alte cime, ecc.) in una vera e propria, sempre più complessa, caotica armonia.

Il Natale solleva, in questo modo, problematiche sociologiche e politiche, oltre a quelle squisitamente spirituali e teologiche.

“Sociologiche e politiche” perché, fin dalla nascita e lungo il corso di tutta la sua vita, non si è dato mai, a Gesù e a ciò che egli rappresentava e sempre rappresenterà, il posto che gli competeva: la società non l’ha accolto, non l’ha ascoltato, ma l’ha solo strumentalizzato per i suoi fini; e l’istituzione Chiesa l’ha sempre relegato dentro ai sacrari e alle sacrestie, dentro al culto, scippandolo alla vita reale, concreta, dei poveri e di tutti noi.

Gesù, con il suo vangelo, scardina la società e scompiglia la vita della chiesa.

A pochi giorni da Natale, un giovane di 28 anni è morto di freddo alla Stazione Termini di Roma, fra il danzare spensierato e cieco di una folla che, invece, si assiepava attenta davanti alle scintillanti vetrine, con presepi coloratissimi di tantissime e variegate cose da comprare.

Ma molti, in tutto il mondo, muoiono nella loro dignità umana perché dormono per strada, perché per loro una casa non c’è e sono considerati alla stregua degli animali randagi. Eppure, di edifici abbandonati abbondano le nostre città.

Di morire di freddo e di morire in dignità fu un rischio anche per la famiglia di Giuseppe e Maria, secondo il racconto evangelico della nascita di Gesù: “non c’era posto per loro nelle locande” e nessuna casa si aprì al loro bussare. Questa è la problematica sociologica.

Le grotte nei paeselli, a quei tempi, erano luoghi di vita perché le famiglie le usavano come stalle, ma anche per viverci. E fu così che Giuseppe, nel paesino di Betlemme, diventò un antesignano dell’occupazione di un locale abbandonato, ma certo di proprietà di qualcuno, quando era sempre più pressante il pericolo di morte per la sua sposa Maria e per il figlio che doveva nascere.

Su ogni proprietà privata grava un’ipoteca sociale”, aveva ammonito un papa nemico del comunismo, Giovanni Paolo II, andando però alla sorgente fresca del comunismo, una fonte che fu proprio Gesù a far venire fuori.

Natale dei poveri

E le giunte comunali e il governo, oggi, che fanno? Non vedono gli edifici vuoti e le strade piene di piccoli figli di Dio abbandonati a loro stessi? Dov’è la volontà politica, che avrebbe la capacità di trovare soluzioni ai problemi grandi dell’emarginazione? E se quelle giunte e quel governo non fanno nulla, diventa giusto e necessario occupare gli edifici abbandonati, se questo serve a difendersi dalla morte. Ecco dunque la problematica politica.

A fronte di questi drammi umani, la nostra Associazione – con un grande sforzo economico – ha aperto una seconda casa di accoglienza, e ad essere accolta per prima è stata, una settimana fa, proprio una famiglia, composta da una mamma con due bambini piccoli, sfrattata per non aver pagato l’affitto per molti mesi. I problemi ci sono (perché non hanno pagato l’affitto?) ma la vita sta sempre al primo posto e un paese democratico e libero deve “garantire questo minimo, che è il massimo dono di Dio, cioè la vita” (monsignor Oscar Romero).

Eppure, davanti alla marea di poveri che affollano le nostre strade, deve allertarsi sempre il volontariato. Perché? Noi non vogliamo essere i tappabuchi delle inadempienze del Pubblico! Vogliamo, al contrario, essere pungolo e provocazione continua a ricordare, ai responsabili della politica, quali sono le fondamenta del vivere civile.

Per questo, la casa l’abbiamo chiamata Casa Hope, cioè Speranza. In realtà, “Hope” è il nome del primo bambino nato da una famiglia ospitata nella nostra prima casa, Casa Nube; e “Nube”, a sua volta, è il nome di una bambina nata proprio mentre aprivamo quella casa. Insomma, i bambini, portatori di speranza, rimangono sempre i protagonisti delle nostre storie…

E la grande speranza, che si sta palesando sempre di più, è che questo Natale dell’intera l’umanità stimoli il 2022 perché i muri vadano in frantumi e si inaugurino ponti e strade larghe per far incontrare nella solidarietà e nella pace i popoli del mondo.

BUON NATALE A TUTTI!

Carlo Sansonetti
Presidente Sulla Strada

Share This