Vivere ai tempi del Coronavirus

Dopo 20 anni con i più piccoli dei poveri

Già si profila all’orizzonte un nuovo “lockdown”, parola che vuol dire “confinamento” (mi chiedo con vera e intensa curiosità perché non usare questa efficacissima parola italiana invece del termine inglese. Io la userò, sia in questo articolo che nel parlare, da adesso in poi).

Le prospettive per il futuro si fanno sempre più fumose e sfilacciate e il presente si sta popolando di fantasmi che impauriscono.

Il nostro centro Prima gli Ultimi sta accogliendo e servendo in queste settimane tante persone, insieme alle loro famiglie, che non conoscevamo e che non avrebbero mai immaginato dover vivere situazioni così.

Sul viso di tutti è impresso lo stupore angosciato per dover venire e chiedere aiuto, per mangiare, per pagare una bolletta, per risolvere una crisi familiare iniziata a causa di un licenziamento in tronco o di una cassa integrazione che non si sa dove sboccherà.

Prima gli Ultimi

Ancora: moltissime delle persone che mi sono più vicine parlano sempre più spesso di “paura” o di “precarietà insopportabile”. Si preoccupano molto, alcuni arrivano anche a crisi di pianto. Non siamo abituati a questa insicurezza, a questa cortina di fumo che ci separa dal domani. La sicurezza materiale è diventata anche una sicurezza psicologica e, ora che non c’è più, il nostro stato emotivo ne risente.

Vorrei allora offrire alcune indicazioni imparate dai bambini più poveri, dai “più piccoli dei poveri”, in Guatemala in 20 anni che li frequentiamo.

IL MOMENTO PRESENTE è il dono più grande che loro hanno e lo vivono con gioia. Infatti, per loro, il momento presente è la vita stessa, perché quel che è stato non è più e quel che sarà non sanno che cosa sarà né come sarà: meglio godere “del qui ed ora” invece di angosciarsi “del perché e del quando”. Noi, protesi sempre verso il futuro come verso un mito, non siamo mai soddisfatti del presente, che consideriamo catena che ci impedisce quel volo.
Quando tre anni fa, la siccità ridusse in seccume il campo coltivato a mais e fagioli del nostro amico Mario, povero e con una famiglia di otto persone da dover mantenere, io gli chiesi, a fronte della sua serenità, come mai non si disperava. Lui mi guardò subito e mi rispose di getto: “Y porqué? Dios sabe” (“E perché? Dio sa”). I poveri si affidano continuamente “a Dios”, alla Vita che è buona, e hanno imparato molto bene l’arte dell’arrangiarsi, un’arte nella quale la Vita aiuta a specializzarsi.

LA LENTEZZA è la modalità con cui si muovono e vivono i poveri, perché non possono rincorrere nulla, e sentono ripulsa all’agitazione. Nella lentezza si trova anche il gusto delle cose che si hanno o che si vivono in quel momento e non c’è alcuna bramosia di avere altro.
Ricordo con ammirazione i bambini quando portiamo loro dall’Italia il “tozzetto umbro” dei nonni Attilio e Maddalena. Appena lo ricevono inizia una specie di cerimonia, un rito: lo guardano, lo scrutano, lo rigirano nelle mani nel suo colore marrone chiaroscuro, con le nocciole che sbucano fuori col loro biancore e le scaglie di cioccolata nera sparse dentro la pasta; poi lo portano lentamente alla bocca, e subito compare e scende giù dalle labbra un rivoletto di saliva dolcissima e un po’ scura.
Mi fermo a contemplare uno dei tanti bambini: il morso ha staccato il primo, minuscolo pezzo di tozzetto e ora il bimbo lo sta impastando di saliva e la lingua lo porta ad esplorare ogni anfratto della bocca. Poi, quando finalmente lo inghiotte, tutto è liquido, non è rimasto un frammento solido. E si va al secondo minuscolo morso.
Il rito, la cerimonia del tozzetto può durare, nel bambino più virtuoso, dai cinque ai sei minuti, mentre io nei primi trenta secondi già mi sono già ingurgitato tutto il mio tozzetto!

Solo nella lentezza si apprezzano le cose che si hanno e si trova pace. Noi, al contrario, siamo malati di impazienza, di velocità e di voracità, tutti miti che ci sono stati introiettati da lungo tempo: mangiamo in fretta (“fast food”!) e con una parossistica voracità, con grave danno per la nostra salute fisica e mentale, psicologica e spirituale. Pensiamo al nostro cuore: la sua regolarità e lentezza ci dice, ad ogni battito, qual è il ritmo buono per noi.
Ma noi abbiamo perso quel ritmo e si è persa anche la pace.
Il “sistema” certamente non è un buon alleato, anzi, ci pungola continuamente, con pubblicità sempre più astute e scientifiche, a desiderare e rincorrere le ultime novità. Se ci pensiamo bene, poi, anche le novità si agitano e si rincorrono l’un l’altra: l’ultima novità diventa immediatamente penultima, perché subito viene sostituita da un’altra. Non c’è pace nel correre sempre, non c’è più un’identità.

Bambini mensa

ESSERE SÉ STESSI è una modalità oramai esclusa nella nostra società dell’immagine. Siamo tutti un po’ come in vetrina: quel che vestiamo o che portiamo, quel che disegniamo sulla pelle e quello che ci appendiamo dovunque ci sia un appiglio, tutto questo, fondamentalmente, determina sentirsi parte di una società.
I più poveri, e soprattutto i più piccoli dei poveri, questi problemi non se li pongono, non li conoscono e il loro viso è l’unica cosa che li distingue gli uni dagli altri, perché, per il resto, dal vestito alle scarpe (quando ci sono), tutto è più o meno uguale, tutto sempre un po’ sporco, e a volte anche puzzolente, e noi ci portiamo la mano al naso.

Oggi siamo costretti a una mascherina: il volto, che dovrebbe essere la prima immagine della nostra identità, già da tempo era una maschera, e oggi, significativamente, ce lo hanno velato, nascosto da una mascherina. Noi che abbiamo sempre cercato di nascondere quel che veramente eravamo, ora ci ritroviamo come in una camera dai mille specchi: in ciascuno degli altri c’è quel che noi siamo diventati.

Distribuzione cibo_ridotta

Potremmo continuare, perché il mondo dei poveri è una miniera di bene per tutti noi e non soltanto “l’oggetto” della nostra carità.

Forse il coronavirus è l’occasione anche per imparare a dare ad ogni rapporto umano, soprattutto con quelli che stanno “in basso”, il calore e il colore che ci salvano.

Carlo Sansonetti
Presidente Associazione Sulla Strada
presidente@sullastrada.org

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