La storia di D. è un faro di speranza
Era senza documenti, un invisibile: ora D. è tornato a esistere!D. era solo, in Italia, i documenti scaduti. Non sapeva a chi rivolgersi fino a quando non ha bussato al Centro Prima gli Ultimi. Ci ha raccontato la sua storia, abbiamo seguito il suo caso e finalmente ora può camminare a testa alta: D. è tornato ad essere visibile!
Dal report dell’operatrice che era di turno quel giorno, l’8 gennaio del 2020, leggiamo che D. si è presentato alla porta con lo sguardo schivo, quasi si fosse già pentito di aver bussato. Le spalle ricurve, lo sguardo sfuggente, sembrava avesse paura. E, probabilmente, era proprio così.
Ma un viso accogliente gli ha detto di entrare, lo ha guardato negli occhi, ha scambiato con lui alcune parole in francese per farlo sentire a suo agio. “Prego, siediti. Raccontami.” E lui ha raccontato.
D. viene dalla Costa d’Avorio, un paese profondamente instabile: protagonista di una guerra civile durata oltre 10 anni, che ha contato più di 3.000 vittime, è un Paese ancora diviso in due fazioni opposte tra ribelli e alleati del governo. Proprio quando sembrava che si fosse voltato pagina dopo una crisi lunghissima, dal 2017 la violenza nel Paese è diventata, in modo preoccupante, una routine.
D. aveva una moglie e 4 figli: sua moglie è stata violentata e uccisa, non si sa da chi, mentre lui stesso è stato arrestato dall’esercito – costituito a maggioranza da ex-ribelli – con l’accusa di non appartenere alla loro stessa etnia e di non aver combattuto con la loro fazione.
Tornato libero, ha affidato i 4 figli ad alcuni parenti ed è partito. È arrivato in Italia nella primavera del 2019, con visto turistico. Quando questo è scaduto, si è ritrovato a sopravvivere nell’illegalità ma anche in quel limbo terribile in cui si ritrova chi è senza documenti: non poter restare, non poter andare via.
Era in questa situazione quando si è rivolto a noi – e allora si può ben comprendere la diffidenza e la paura che aleggiavano sul suo viso. Ma il nostro valore guida, al Centro Prima gli Ultimi, è l’accoglienza e questo abbiamo offerto a D.
Ci ha raccontato la sua storia, ci ha detto che non può tornare in Costa d’Avorio perché ha paura di essere ucciso e teme ogni giorno per la sicurezza dei suoi figli – soprattutto le due femmine, la prima di 22 anni e l’ultima, di soli 5 anni.
Ci siamo presi a cuore la sua storia, non lo abbiamo lasciato solo!

Abbiamo contattato l’ufficio legale dell’ARCI di Viterbo, realtà con cui collaboriamo stabilmente da due anni, raccontato la sua storia e preso appuntamento per D. con una loro avvocata che ha preso subito in carico il suo caso. Dopo questo primo appuntamento, hanno presentato insieme la domanda di protezione internazionale.
Per prima cosa, già a febbraio, D. è riuscito a ottenere la residenza al Comune di Orte, e per fortuna visto che poi è arrivato il lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19! Noi, al Centro, lo abbiamo aiutato con il sostegno alimentare durante i mesi di chiusura perché la pandemia ha bloccato anche quel settore di lavoro sommerso che è l’unico a beneficiare della mancanza di documenti, e quindi, della situazione di vulnerabilità, dei cosiddetti “clandestini”.
Appena è stato possibile, dopo la riapertura degli uffici, abbiamo richiesto l’udienza per la Protezione Internazionale, stabilita per fine agosto: alla notizia, comprensibilmente, D. era molto agitato. Patrizia, l’operatrice che l’aveva accolto il primo giorno, gli ha regalato un quaderno e una penna invitandolo a scrivere la sua storia facendo attenzione ai dettagli, le date, i nomi, i luoghi, perché a volte è proprio sui dettagli più piccoli che ci si gioca tutto.
D. era grato e pieno di speranza, e si è impegnato molto a ricordare ogni momento e ogni fatto, anche i più drammatici, ogni motivazione che lo ha convinto a partire.
Ieri finalmente ci è arrivata la buona notizia: l’audizione con la Commissione è andata molto bene, la richiesta di D. è stata accolta, la protezione internazionale accordata!