Vacanze: "vuoto" per chi? "Vuoto" di che?

Per molti di noi è tempo di desiderate vacanze.

“Vacanza” letteralmente è “fare il vuoto”. Dopo tanto tempo di lavoro, di progetti da realizzare, di tensioni, di sacrifici, di successi e delusioni, arriva il tempo di “svuotarsi” di tutto questo, di alleggerirsi, di tornare a rincontrare se stessi e sentirsi ancora una volta contenti di poco. Tutto questo per tornare ricaricati al lavoro quando le vacanze finiscono.

Ma per altri, oggi, le vacanze sono forzate, per nulla desiderate: il vuoto che si crea è di lavoro, di sicurezze, di futuro. Tutto diventa incerto e la paura invade i pensieri e il cuore.

Eppure, qui da noi, per quanto criticabile nelle sue scelte e anche nell’attuazione di queste scelte, lo Stato si interessa di chi ha perso il lavoro, di chi non va più a scuola. L’Europa ha messo a disposizione dei Paesi dell’Unione, migliaia di miliardi di euro.

In Guatemala e in tutti i paesi poveri non è così.

Un allarmante rapporto di Save the Children uscito proprio oggi ci inchioda, ancora una volta, di fronte alla responsabilità morale e umanizzante di pensare anche a loro. Sono tre i parametri che sono stati presi in considerazione:

  1. Il tasso di abbandono della scuola precedente al Covid-19
  2. Le disuguaglianze di genere e di reddito tra le famiglie di bambini che lasciano la scuola
  3. Il numero di anni di frequenza scolastica
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Ne aggiungo un altro molto importante: gli investimenti sulla scuola, prima e dopo la pandemia. Per quanto aspro sia il dibattito, qui da noi si investirà molto sulla scuola perché la generazione degli attuali scolari non diminuisca e non si abbassi la qualità dell’insegnamento.

Nei paesi poveri non è così: i tagli alla scuola sono per loro “necessari” perché ci siano abbastanza risorse per non far entrare in crisi l’intero sistema-paese.

Prima della pandemia erano già 258 milioni i bambini nel mondo che non frequentavano alcuna scuola. Oggi ne sono privati, a causa della chiusura forzata degli Istituti scolastici, 1,6 miliardi, fra i quali ci sono anche i quasi 300 bambini della scuola Amelia Pavoni del villaggio La Granadilla in Guatemala.

Di questi, ben 1,2 miliardi di bambini sono a rischio di non tornare mai più a scuola. Chiaramente sono tutti bambini di paesi poveri.

Siccome non appartengono alla nostra ristretta società, ci dovremmo disinteressare di loro? Ancora una volta prevarrà la logica assurda, “diabolica” (dal greco “ingannare”, “separare”) del Prima gli Italiani, Prima Noi, Prima Io?
Scuotiamoci e muoviamo con passione mente, cuore e braccia: c’è tanta umanità a rischio, fuori, ma anche dentro di noi!

Pensiamo solo alle bambine: quando siamo arrivati in Guatemala erano statisticamente molto meno le ragazze che si iscrivevano a scuola rispetto ai maschietti. Le famiglie, eternamente in debito di cibo, non pensavano a proiezioni future e formavano le bambine fin da subito ad allevare i fratellini più piccoli, a cucinare, a pulire. In questo modo, arrivate ai 14-15 anni potevano già sposarsi e non essere più un’altra bocca da sfamare. Col tempo e con enorme fatica, siamo riusciti a invertire questa tendenza. Ma oggi ci arrivano già segnali allarmanti, paurosi: le famiglie, nella morsa di un impoverimento galoppante a causa dell’emergenza coronavirus, stanno già discutendo se mandare ancora le bambine (e per molte anche i bambini) a scuola quando si riaprirà (gennaio 2021?).

Sono tutte sirene di un allarme che dobbiamo ascoltare, a cui dobbiamo rispondere!

Rimaniamo presenti, restiamo al fianco dei bambini del Guatemala! Diciamo loro, alle nostre famiglie in Guatemala e a tutte quelle che riusciremo a trovare nei luoghi più miseri, che non le abbandoneremo, che investiremo molto di più nella nostra scuola, che i bambini lì mangeranno bene, molto bene!

Aiutaci a non fare spegnere nel cuore dei nostri bambini la speranza di un domani bello, di non diminuire la spinta che ora hanno – una voglia smisurata! – a tornare nella loro splendida Escuela Abuelita Amelia Pavoni!

Articolo 13.07.2020

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