diario dalle corsie
Abbiamo chiesto ai nostri volontari medici e infermieri di raccontarci le loro giornate durante l’emergenza Coronavirus, di mandarci le loro riflessioni, di confidarsi. Abbiamo ricevuto testimonianze preziose di dolore e fatica ma anche di voglia di rinascita e sostegno reciproco. Ecco quello che ci racconta Rita.
Riflessioni dopo un turno in prima linea.
Poco più di un mese fa si concludeva quella che credevo una delle sfide più ardue della mia vita, la Missione Sanitaria in Guatemala con l’Associazione Sulla Strada, che poi si è rivelata essere l’esperienza più bella e intensa che io abbia mai fatto.
Arrivata in Italia, vengo catapultata senza paracadute in uno scenario surreale: un’emergenza sanitaria senza precedenti in cui, oltre allo stress fisico, bisogna fare i conti con una serie di emozioni negative, quali la paura di essere contagiati, la stanchezza mentale, la rabbia e un senso d’impotenza di fronte alla sofferenza e alla morte dei pazienti.


Tutto ciò è aggravato da tanti divieti e tante barriere.
Le carezze ormai sono di gomma. Mancano gli abbracci e i baci, persino i sorrisi sono nascosti da una maledetta maschera.
Ci restano gli occhi, gli occhi possono tutto! Occhi per piangere, ma per fortuna anche per sorridere!
Con gli occhi comunichiamo al paziente calore, amore, empatia, perché adesso più che mai è nostra responsabilità “prenderci cura” dell’altro. E i nostri occhi sono importanti, sono gli unici – e qualche volta anche gli ultimi – che vedranno.
È tutto molto stressante, ma tutte le volte che giunge lo sconforto mi dico: “Forza e coraggio, Rita!”. Perché l’unica possibilità che ho, che abbiamo, è di resistere!