diario dalle corsie

La missione da poco conclusa in Guatemala ha visto molti nostri volontari medici e infermieri donarsi senza riserve per chi aveva bisogno. Ora qui, nella nostra Italia, sono di nuovo missionari e si stanno donando ancora e ancora di più.

Abbiamo chiesto loro di raccontarci le loro giornate, di mandarci delle riflessioni, di confidarsi… e abbiamo ricevuto testimonianze preziose di dolore e fatica ma anche di voglia di rinascita e sostegno reciproco. Ecco quella di Cristina.

Domenica 16 Febbraio h 18 e 30 circa, il volo che ci riporta in Italia da Città del Guatemala è appena atterrato a Milano Malpensa. La missione sanitaria con l’associazione Sulla Strada, all’ospedale Llano de la Virgen si è conclusa. Su quel volo ho portato con me  bagagli ricchi di emozioni e ricordi unici, giorni intensi di duro lavoro tutto ricompensato dai sorrisi e dai gesti delle persone che abbiamo accolto, curato e supportato.

Non nego che ho avuto paura di tornare alla normalità, paura di interfacciarmi con la solita quotidianità, dove tutto viene dato per scontato, dove siamo abituati ad aver tutto e non essere mai contenti di niente.

Ma la vita spesso è imprevedibile e anche questa volta mi ha preso alla sprovvista, in una maniera così insolita che probabilmente nessuno quando ha scelto di diventare infermiere o medico avrebbe mai pensato di vivere.

Nel giro di dieci giorni dalla fine della missione sanitaria in Guatemala, ci siamo ritrovati catapultati a fronteggiare una pandemia di livello mondiale, in una realtà che ha rivoluzionato la nostra vita, le nostre abitudini e tutte le nostre certezze.

Io non ero pronta. Forse nessuno di noi lo era, ma quando senti gridare “aiuto” è molto più difficile voltarsi dall’altra parte che andare a vedere che succede.

E quindi pronti, attenti, Via!

Il reparto non è più un reparto, adesso esiste la zona gialla, il filtro e la zona rossa.
La divisa si è trasformata in una tuta di Tyvek, le mie mani in 3 paia di guanti in nitrile viola e il mio volto in una mascherina FFP3 con cappuccio e visor annessi.

Entri in zona rossa e nella testa ti ripeti “Non fare errori, non toccarti il viso e cammina piano”. Poi ti avvicini al paziente e lo vedi lì in un letto, completamente solo che respira a fatica dentro un casco che permette ai suoi polmoni di espandersi più facilmente. Cerchi di rendere tutto normale per loro, ma alla fine anche per te stessa. I più fortunati ti raccontano delle loro famiglie, ti fanno vedere foto delle nipotine e ti chiedono se e quando potranno riabbracciarli.
Tu la conosci l’imprevedibilità del virus, di come le cose possano precipitare da un momento all’altro, ma davanti a loro cerchi in tutti i modi di non far trapelare quella paura che porti dentro.

E allora gli dedichi una parola, una battuta e uno dei tuoi migliori sorrisi, dimenticando che anche quello è nascosto dietro alla mascherina. Fortunatamente gli occhi spesso parlano forte e chiaro, questo loro lo sentono, ti ringraziano continuamente per quello che fai e credetemi che niente è scontato quando in queste situazioni sei esposto così tanto fisicamente e psicologicamente.

È bellissimo vedere quanta vicinanza e riconoscenza sta tirando fuori da ognuno di noi questo maledetto virus e se c’è una cosa che ho capito fino ad adesso è che la solidarietà non ha né paese, né lingua.

Non so come e quando ne usciremo, probabilmente i lividi di tutta questa scazzottata con la vita li porteremo sulla pelle per sempre, ma sono sicura che ci permetteranno di ricordare le grandi lezioni ricevute in questi giorni così surreali, di farne tesoro e una volta finita la rissa, di sfruttarli al meglio per valorizzare ciò che nella vita conta davvero.

Cristina C.
Infermiera reparto Covid, volontaria Sulla Strada 2020

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