L'antidoto contro l'emergenza attuale
Carissimi tutti,
Avremmo voluto raccontarvi della nostra missione di gennaio e febbraio, delle fatiche sostenute con passione e professionalità, dello spirito che ci ha unito in modo esaltante e anche allegro, delle storie dure e sofferte che ci sono venute incontro e alle quali abbiamo cercato di dare soluzione, ma il dilagare in Italia del Coronavirus, ci spinge a fare oggi altre considerazioni.
Non sappiamo quanto questa emergenza durerà, ma è certo che oramai siamo tutti immersi dentro a una situazione di estrema precarietà. Anche lo Stato è in affanno, quello stesso Stato che fino a poco fa affrontava e tentava di risolvere i nostri problemi materiali, a cominciare dalla salute. Sta a noi rimanere saldi e non farci travolgere.

A ben pensarci, il senso di precarietà, causato da un invisibile virus, ci dovrebbe ricordare che già eravamo immersi in un clima di paure, indotte queste da un sistema malizioso, enorme e tentacolare, che puntava il dito accusatore verso i migranti come coloro che derubavano le nostre sicurezze. Era invece il sistema stesso che ce le stava togliendo un pezzetto per volta: se il nostro invidiatissimo Servizio Sanitario Nazionale fosse rimasto ai livelli di qualche anno fa, non avremmo la vastità del contagio che c’è oggi.
Da diversi anni dilaga nel mondo intero una novità inarrestabile, un cambiamento epocale, che non ci farà più tornare alle condizioni di prima.
Ma perché dovremmo pensare che le condizioni future saranno, per forza di cose, peggiori? Anzi!
Il test dell’emergenza-coronavirus ci dirà il vero grado di solidarietà che possediamo e che saremo capaci, non solo di difendere in noi, ma di far crescere intorno a noi. Il pericolo è invece quello di chiuderci nel nostro piccolo mondo, che poi è il nostro egoismo (“prima noi, poi gli altri”), mentre la verità che la storia ci sta insegnando è che, in questa emergenza presente come nel cambio epocale attuale, o ci salviamo tutti insieme o non si salva nessuno.
Rafforzare dunque la solidarietà che già esiste fra noi, per poterla donare a chi vive strutturalmente abbandonato, è il primo fondamentale passo. Il secondo è quello di incaricarci di progetti specifici che accolgano e sostengano quelli che vivono oltre i margini e sono indeboliti più di chiunque altro, perché non c’è neanche un pezzetto di Stato che pensi a loro.
Mi vengono in mente le manine sporche di polvere da sparo di tanti bambini in Guatemala che ancora non vanno a scuola per costruire fuochi artificiali e sopravvivere grazie a quel terribile lavoro, ma mi scorrono anche davanti agli occhi, tremende e violente, le immagini dei marinai della motovedetta greca i quali, ai primi di marzo, prima hanno cercato di speronare un gommone gonfio di migranti, fra cui molti bambini, che cercava un approdo sulla terraferma e poi con un lungo bastone picchiavano forte, sulla testa, gli uomini che volevano aggrapparsi alla motovedetta, e infine hanno sparato tre – quattro colpi di fucile sul pelo dell’acqua a pochi metri da quel piccolo canotto, perché tornassero in mezzo al mare dal quale erano disperatamente scappati e che certamente li avrebbe inghiottiti.


Riusciranno davvero a farci diventare come loro? Presteremo orecchio al dialogo con chi crede che bisogna agire in quel modo? Agli interlocutori che forzano la nostra umanità verso derive antropologiche mostruose e che cercano di divorare con un fuoco criminale le ultime briciole di solidarietà che ci rimangono, noi dobbiamo opporci, non dialogare, dobbiamo resistere e difenderci.
Forse si troverà presto un vaccino contro il Coronavirus, ma noi già possediamo la solidarietà, vero antidoto contro i veleni che uccidono la nostra bella umanità.