Pubblichiamo l’articolo di Guido Barbera comparso nel Notiziario interno di CIPSI – COORDINAMENTO DI INIZIATIVE POPOLARI DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE di cui l’Associazione Sulla Strada è orgogliosa di far parte.
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“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia” (Don Milani).
Questa frase è stata da mesi oggetto dei miei pensieri, soprattutto quando ascoltavo i commenti delle persone per strada, in piazza, al bar, e consideravo i recenti avvenimenti che hanno riguardato il nostro Paese.
Non stiamo vivendo semplicemente una fase di distacco sociale dalla politica. Stiamo assistendo al suo sacrificio, all’egoismo di parte – sociale ed individuale – all’altare degli interessi.
Siamo talmente accecati dagli interessi, di ogni genere, al punto da non renderci più conto che, da solo, nessuno di noi può vivere oggi. Neppure un popolo può vivere da solo. La convivenza si fonda sulla conoscenza e sulla consapevolezza reciproca dei nostri problemi e delle possibili strade per risolverli. Ossia, la politica!
L’ambizione di imporre la propria soluzione non fa parte della politica, quanto piuttosto dell’avarizia. Con la globalizzazione, negli ultimi 40 anni, la politica ha abdicato al suo ruolo di scienza del buon governo. È stata la politica stessa, ad aprire le porte a quelli che oggi noi chiamiamo “i mercati finanziari” o i “mercati del lavoro globale”. Con questa politica, abbiamo costruito una nuova cultura, un nuovo pensiero, senza tener conto del fatto che il meccanismo di mercato, una volta avviato, non si arresta più!
Questo, abbiamo oggi davanti a noi. Questo, è il problema da affrontare.
Una volta presa coscienza delle conseguenze di questa politica, da qui dobbiamo ripartire per poter risolvere i suoi limiti. Abbiamo costruito noi stessi un grave deficit di democrazia, permettendo l’auto-formazione di una oligarchia tecnocratica che, a prescindere da obiettivi di per sé importanti, come ad esempio l’aumento dell’efficienza e l’utilizzo strumentale dei mezzi di comunicazione, non assicura più gli spazi di libertà che un’autentica democrazia deve garantire.
È attraverso il volontariato, e grazie al volontariato, che si concretizza oggi molta della partecipazione dei cittadini alla vita della società e della solidarietà verso le fasce più deboli della popolazione, ma non solo.
Negli anni, animato dalla convinzione che: “Il problema degli altri è uguale al mio”, e dalla certezza che: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”, il volontariato è cresciuto numericamente e si è trasformato, spinto da valori e ideali diversi, assumendo ruoli nuovi nella società, nel rapporto con le comunità e con lo Stato. Ha svolto un lavoro per tanti aspetti eccezionale! Ma troppo spesso, alla finestra…
Ha sopperito ad infinite carenze istituzionali. Operando in situazioni difficilissime, dove spesso le istituzioni non volevano o non potevano arrivare, curando la dimensione culturale e lavorando nella sfera sociale a livello nazionale e internazionale. Ma ha, progressivamente, perso la sua identità politica.
Ci siamo messi a servizio, non della politica, ma dei politici, diventandone dipendenti e servitori. Troppo spesso abbiamo trascurato i problemi, i contenuti per puntare alle soluzioni, preoccupandoci troppo delle risorse e della continuità delle nostre attività e strutture.
Ora paghiamo le conseguenze di questa ingenuità. Non possiamo perdere altro tempo. Dobbiamo riappropriarci della vera politica, ossia della scienza del buon governo. L’obiettivo della politica infatti, è il bene comune, ben diverso dal “prima gli italiani” o, ancor peggio, “prima io”.
Dobbiamo liberarci dalla “sindrome delle basse aspettative” perché nessuno, più di noi, deve avere invece, delle aspettative molto alte come il buon governo, il bene comune, la convivenza. È ora di ripartire dai nostri valori, di alzare la testa, di dire basta all’individualismo e alla competizione i quali ci impediscono di riconoscere i problemi degli altri come il mio problema.
Anche se oggi rischiamo di essere accusati di “buonismo”, mettersi in gioco e sporcarsi le mani per il bene comune e i diritti di ogni essere umano, di qualunque razza o età, non è e non può essere una vergogna.
Il “mettersi al servizio della comunità” deve tornare ad essere il comun denominatore delle relazioni e della vita sociale.
Per questo dobbiamo fare un passo avanti e far capire che i volontari sono molto di più che dei bravi ragazzi, o dei semplici buonisti, ma sono dei veri e propri creatori di capitale sociale e di vera politica.
Questo lo possiamo raggiungere solo se decidiamo di ripartire dalla convinzione che: il problema degli altri è uguale al mio. Solo se decidiamo di mettere, per primi, da parte gli individualismi e le divisioni. La vera “riforma del Terzo Settore” non sta in nuove regole, registri o imprese sociali, quanto in una decisa e ferma presa di posizione di tutti noi per essere considerati dei cittadini, non dei burattini, e come tali assumerci le responsabilità della nostra comunità.
Non possono essere “i mercati finanziari” o “i mercati del lavoro globale” a dettare l’agenda della politica che gestisce la nostra vita. Siamo noi, a dover costruire, definire, realizzare e gestire l’agenda della politica che determina la nostra vita e rispondere ai problemi di tutti. Se non rialziamo la testa rapidamente, tutto il Terzo settore rischia di essere trascinato non solo nell’anonimato più assoluto, ma strumentalizzato a servizio dei poteri forti e dei loro interessi.